Il ventre dell'architetto

raccontato da Peter Greenaway

Il Ventre dell'architetto del regista Peter Greenaway racconta una Roma cinematografica, monumentale e  decadente

“… immagini di Roma mai viste sullo schermo”

Sono venuto a Roma per la prima volta quando avevo 17 anni. Ero studente d’arte e volevo studiare la pittura del Rinascimento. Sono rimasto tre o quattro mesi. E sono ripartito con un’impressione molto più forte dell’architettura che della pittura. E’ un assioma: Roma è un luogo straordinario dal punto di vista architettonico, rappresenta una incredibile successione di stili che copre 2500 anni. E’ la città più antica e più “viva” d’Europa. Ce ne sono di più antiche ma nessuna è stata così` importante per molto tempo. In un certo senso, tutte le epoche si trovano mescolate nell’architettura romana. Ci si sente come un geologo incaricato di separare gli strati. Avevo da molto tempo l’idea di fare qualcosa per celebrare il mio entusiasmo per questa città. Sicuramente non sono stato il primo ad avere questo desiderio: in Inghilterra c’é una lunga tradizione di persone affascinate da Roma, da Byron a Keats fino agli innumerevoli letterati e viaggiatori del XIX° secolo. Sono poi tornato a Roma varie volte senza mai trovare veramente l’entusiasmo provato la prima volta. In effetti, il viaggio all’inizio del film rievoca il mio primo viaggio verso Roma

Contenuti

Il ritratto del Bronzino

Quando sono tornato a Roma per fare promozione a I misteri del giardino di Compton House e concedere le indispensabili interviste, ho avuto dalle prime ore del mio soggiorno un terribile mal di stomaco che non mi ha mai abbandonato nei quattro o cinque giorni successivi. Nel momento in cui ho messo piede nell’aereo per tornare a casa, i crampi sono scomparsi. Si trattava evidentemente di un dolore psicosomatico. Senza rendermene conto, ero stato molto ansioso. Per quale motivo? Si possono fare solo delle supposizioni. E’ possibile che il fatto di presentare con successo un mio film in questa città che avevo ammirato non solamente per se stessa ma anche attraverso i film di Fellini, Antonioni, Pasolini, avesse agito sul mio sistema nervoso. Allora ho pensato alla sceneggiatura di un film su un viaggiatore straniero, un “outsider” che arriva nella città eterna e la cui inquietudine é tale da fargli perdere tutte le sue capacità.

In seguito ho scartato provvisoriamente questa idea. Poi quando lavoravo a Lo zoo di Venere mi sono imbattuto in un quadro del Bronzino. (…)
Il ritratto del Bronzino è quello di Andrea Doria che posa nudo. Una domanda si pone: perché questo celebre ammiraglio di 54 anni posa in quella maniera? Ci sono probabilmente connotazioni omosessuali che si potrebbero analizzare. Ma quello che mi interessava, anche, era che quella posa caratterizzava anche un gran numero di statue, da quelle celebri di Augusto e Giulio Cesare a quelle di greci illustri. Era un modo di vedere i personaggi eroici. Avevo dunque in mano questi tre elementi. D’altra parte, da circa dieci anni, avevo partecipato alla presa di coscienza che si è manifestata in Inghilterra riguardo all’architettura popolare.
L’uomo della strada sembra interessarsi all’architettura, all’urbanistica e questo ha a che vedere con gli orribili sventramenti inflitti ai sobborghi di Londra. Questo fatto mi spingeva ad interrogarmi sulla responsabilità dell’architettura oggi.

Il quinto elemento fu Boullée. Tutti questi elementi sollevavano una serie di questioni. Per trasformarli in una linea narrativa di cui potersi servire per il cinema mi occorreva trovare una storia. Ed é allora che ho immaginato l’equivalente di Boullée nel XX° secolo, Stourley Cracklite, architetto di Chicago che viene a Roma per “promuovere” Boullée con una esposizione, un pò come ero venuto io per lanciare I misteri del giardino di Compton House.

Etienne-Louis Boullee

Mi sono imbattuto per la prima volta in Boullée quando studiavo pittura. La cosa che più mi ha colpito é stata l’ironia della sua storia. Il padre di Boullée non voleva che egli diventasse pittore, sua prima ambizione, ma che diventasse un architetto, cosa che avrebbe comportato maggiori benefici finanziari, almeno secondo la sua opinione. Ma la cosa interessante é che dopo 30 anni di lavoro come architetto, praticamente senza aver mai costruito nulla, all’età di 50-60 anni rinunciò alla possibilità di fare architettura pratica per dedicarsi alla teoria: schemi immaginari, architettura fantastica, progetti architettonici che sono convinto egli fosse cosciente nessuno avrebbe mai costruito. Non si trattava di pura architettura ma di architettura vista dall’occhio del pittore.

Paradossalmente la prima ambizione dl Boullée di diventare pittore si é realizzata proprio da architetto, perché c’é qualcosa di straordinario nei suoi disegni, non si tratta di erigere spazi in termini architettonici, ma di creare stati d’animo e atmosfera e un senso della scala che ho trovato sorprendente. Un’altra cosa molto interessante é che nessuno dei suoi progetti é mai stato realizzato, nonostante la loro importanza tecnica. Così per il suo potenziale come architetto/pittore e per questa sempre presente ironia nel creare immagini che non sono mai state pienamente realizzate, trovo molti paralleli tra la sua architettura e il cinema. E’ assiomatico che molti registi si impegnino in progetti che non trovano mai una realizzazione. Ci sono molti film che io chiamo film sulla carta, grandi idee che non possono essere realizzate a causa di problemi di produzione , distribuzione, questioni finanziarie e logistiche. Quindi si può pensare ironicamente che a causa di questi elementi ci possono essere delle grosse analogie tra Boullée e l’attività dei registi europei.

Sono al corrente di questa situazione in Europa e in Inghilterra. Un terzo elemento, e ripenso al mio interesse per Roma, é che Boullée non ha mai lasciato Parigi; non sono sicuro che questo sia veramente vero, ma é sicuro che egli non lasciò mai la Francia. Come uomo egli era contro la moda del tempo, contro il “revival” greco della sua epoca, nessuno a quei tempi si rifaceva all’architettura romana. Per i grandi progetti degli edifici municipali, egli si ispirava agli edifici romani che aveva visto certamente in condizioni di maggior degrado di quelle attuali. Non bisogna dimenticare che egli visse nella Francia prerivoluzionaria; se Robespierre fosse vissuto più a lungo ci sarebbe potuta essere una collaborazione fra loro e i risultati si possono facilmente immaginare.Mi affascina la sua ispirazione per i vasti progetti municipali, edifici per la Grand Opera, grandi ponti sulla Senna e, ciò che per me é più interessante, progetti di camposanti e cimiteri. Egli aveva una passione necrofila per la morte, e ancora una volta ciò richiama alla memoria Roma che nei 2500 anni della sua storia ha sempre evidenziato una vena di “fascismo necrofilo” nell’architettura: la prima Repubblica, la Roma classica, l’impero Romano, il periodo Bizantino, il Cristianesimo, la Controriforma, il Diciannovesimo secolo, il Fascismo, Mussolini: una storia che prova sempre interesse per la morte e la gloria, sicuramente requisiti del fascismo. Boullée ha dato un contributo alla continuazione dell’idea di architettura totalitaria. Un’architettura che rende il genere umano “minuto”, che in qualche modo non considera i requisiti di edificio pubblico.

Una volta deciso di prendere in considerazione i sette periodi della storia architettonica di Roma, mi serviva trovare un luogo o un edificio chiave che li riassumesse. Piazza Navona con la sua esuberanza dovuta al Bernini, che assomiglia ad una immensa stanza a cui manca solo il tetto, era un buon esempio barocco. Mi occorreva anche trovare degli edifici collegati alle preoccupazioni di Boullée, con la cupola; di qui la scelta del Pantheon. Avevo anche pensato di servirmi della Piramide di Sesto, per le sue facciate piramidali che Boullée aveva messo nei suoi cimiteri. Non ho potuto usare le Terme di Caracalla per ragioni tecniche, che ho rimpiazzato poi con la Villa di Adriano. Per contro ho potuto utilizzare il monumento a Vittorio Emanuele II°. (1987)

Roma

Colpisce nel bel mezzo di Roma il monumento a Vittorio Emanuele II°, questo enorme edificio per il quale ho sempre nutrito un affetto particolare e che i romani chiamano “la torta nuziale” o la “macchina da scrivere”. E’ un edificio piuttosto volgare, più legato alle beaux arts francesi che alle italiane; marmo bianco splendente, che sembra totalmente estraneo al paesaggio urbano che lo circonda. Francamente quando scrissi la sceneggiatura non immaginavo che ci avrebbero permesso di girare all’interno della “macchina da scrivere”, un emblema delle peggiori e più curiose costruzioni architettoniche. Ma grazie all’aiuto dell’architetto Costantino Dardi e del nostro art director, riuscimmo ad entrarvi. E poi come accade sempre, tante importanti associazioni d’idee spuntarono dal nulla. Per esempio, l’uomo che l’aveva costruito, Zucconi (incidentalmente abbiamo usato il suo busto nel film) era un tipo piuttosto triste che passò parecchi guai per aver importato il marmo dalla sua città natale. Era un tipico ragazzo di provincia che “fa fortuna a Roma”, ma come Kracklite, anche lui si uccise.

In qualche modo se l’Italia può essere considerata il ventre del Mediterraneo occidentale, Roma può essere il suo ombelico. Naturalmente il film ha usato un uomo grasso e obeso per personificare questo ventre architettonico ad un altro livello. C’é un’angolazione per cui il concetto di “nascita” rappresenta gli aspetti positivi e negativi del rapporto uomo-donna. L’architetto cerca disperatamente di lasciare dei segni della sua attività culturale, dei suoi parti. Nel film diventa un simbolo negativo perché il suo ventre sviluppa un cancro allo stomaco mentre sua moglie rimane incinta e il film si svolge esattamente per un periodo di nove mesi, il tempo della gestazione cominciai con il concepimento e finisce con la nascita. Un periodo di nove mesi, proprio come il tempo necessario per girare un film. Lei é quindi il simbolo positivo che porta in se la vita e lui quello negativo che porta in se la morte.

Il riferimento a “La flagellazione” di Piero della Francesca. La scena é quella della toilette dove avviene l’umiliazione di Cracklite. Cracklite é seduto sullo sfondo come il Cristo che é frustato alla colonna. Le tre strane ed enigmatiche figure in primo piano nel quadro, la cui identità non émai stata chiaramente stabilita, si ritrovano nei personaggi di Federico, Io e Flavia che esaminano un ritratto che Cracklite crede essere quello di Boullée e che é quello di Piranesi. L’antagonismo comincia a manifestarsi in quel momento. Sono voluto andare più lontano che nella ricerca formale de Lo zoo di Venere, per quel che riguarda il numero 2 e la simmetria. Volevo vedere se era possibile giocare non solamente tra la sinistra e la destra ma anche tra il fondo e la superficie. Queste preoccupazioni si ritrovano anche in Piero Della Francesca, anche se non necessariamente legate alla simmetria. Piero era ugualmente un esperto straordinario di prospettiva matematica. Durante le discussioni con il mio capo operatore Sacha Vierny mi sono reso conto che la macchina da presa non opera così. Nei quadri di Piero ci sono molti punti di fuga e si vedono le cose in modo artificiale perché il paesaggio é artificiale. Ho tentato di trovarne uno equivalente in termini cinematografici ma é molto difficile. Per esempio quando si vede il Pantheon per la prima volta bisognerebbe trovarsi molto in alto per apprezzare tutte le verticali e le orizzontali. E’ pertanto molto difficile filmare l’architettura per dare un’idea dei suoi volumi ed é là che Piero della Francesca può riuscire mentre il cineasta fallisce.

L’organizzazione delle riprese si sviluppa in maniera architettonica: é un tentativo deliberato di prendere il sopravvento sul senso della griglia prospettica, uno dei sistemi di ripresa di base sulle arti visive del XX° secolo. Il film é naturalmente molto più organizzato, rispetto ai miei precedenti, in termini architettonici, un tentativo di sradicare ogni senso della natura. Abbiamo usato un sistema di codificazione dei colori, filtri arancio che rendono la vegetazione marrone e i cieli grigi e bianchi. Non siamo riusciti del tutto nella nostra impresa. Questa codificazione era anche intesa a rendere l’idea che il verde fosse artificiale e ogni volta che il verde appare, appare in maniera artificiale. Il protagonista ha sempre una cravatta verde e nell’ultima scena drammatica egli arriva su una vettura verde. Questo può sembrare un gioco, un artificio, ma si basa sull’idea, credo riconosciuta, che questa codificazione del colore possa essere posta in relazione al simbolismo gotico, all’ uso della simbolizzazione del colore nella pittura rinascimentale.

Stourley Cracklite

Il potere coinvolgente di Dennehy rende il film meno freddo rispetto ai miei precedenti? Sono interessato a portare nel cinema l’estetica della pittura, e questo tentativo ha ben poco a che fare con le emozioni. Sono anche un prodotto dello straniamento post-brechtiano della fine degli anni ’60, non di Kramer contro Kramer. Mi piace avvicinarmi al cinema tanto con la mente che con un qualunque coinvolgimento emotivo e questa é stata la caratteristica di film come I misteri del giardino di Compton House e de Lo zoo di Venere, nei quali gli attori erano essenzialmente delle personificazioni di idee. Questo é un nuovo punto di partenza, ed ora so come affrontare il problema. Dal momento che molte mie idee riguardano un uso metaforico del cinema – che voglio usare ancora come linguaggio – so che può essere difficile per il pubblico afferrarle e questo é ovviamente un espediente che potrebbe trasformarsi in uno strumento utilissimo.
Detto questo, devo ammettere che sono rimasto molto sorpreso dalla prestazione di Brian Dennehy, e gliene sono molto grato: se serve ad incoraggiare il pubblico a impegnarsi per capire le altre parti del film, allora é fantastico. So che può essere una strumentalizzazione, ma non é nelle mie intenzioni, e sono sicuro che mi piacerebbe lavorare di nuovo con Dennehy. Quando gli venne presentata la sceneggiatura, Dennehy non mi conosceva affatto, e perché mai avrebbe dovuto conoscere un inglese eccentrico e riservato come me ? Lui si identificava con tanti aspetti del carattere di questo personaggio che sentì di doverlo assolutamente interpretare. Col suo aspetto da duro, molti troveranno strana la sua presenza in un film d’essai. Ma lui ne esce, penso, come un uomo capace di imporre la sua personalità, tanto intellettualmente che fisicamente. Certamente il suo amore per Boullée e tutte le ansietà che egli si porta dentro sono non solo intellettuali ma anche fisiche. Alcune delle mie ossessioni sono ludiche ed effimere, come l’ossessione per le fotocopie, e lui le ha sapute rendere perfettamente. L’ossessione per le fotocopie? Potrei parlarne per ore ma diciamo che molti dei miei film hanno avuto a che fare con la riproduzione, e intendo tanto la riproduzione umana che quella artistica. Il ventre dell’architetto ha cercato di esplorare tutti i diversi mezzi attraverso i quali l’arte ha riprodotto la forma umana.

La mafia culturale

Ogni volta che sono andato in Italia ho notato ogni genere di traffici. Quando si solleva un piatto in un ristorante, sotto c’é una banconota, e se si stringe una mano ci sono soldi nel palmo. Questo si ritrova in tutto il film, eccetto in due occasioni: l’iconoclasta che ruba i nasi gliene offre uno, e un ragazzina gli regala un’arancia. Queste sono le uniche due transazioni altruiste di tutto il film, le due sole in cui il denaro non é in gioco. Una osservazione sul modo di vita italiano e sui rapporti tra i personaggi. Chloe Webb. Non avevo visto Sid e Nancy ma il mio coproduttore Walter Donohue mi ha fatto conoscere Colin Callender, poi produttore de Il ventre dell’architetto, e mi ha presentato a Chloe Webb, che lui aveva visto al cinema e a teatro. Mi é piaciuta per la sua vivacità. Quanto a Lambert Wilson l’avevo visto in due o tre film, tra cui Rendez-vous, e mi è sembrato avere la statura, l’arroganza ma anche l’innocenza richiesta dal ruolo.

La musica di Glen Branca

Avevo ascoltato uno dei suoi concerti a Londra cinque o sei anni prima. E’ un compositore di New York, della stessa scuola di Terry Riley e Philip Glass. La sua musica é molto cruda, molto grezza. Abbiamo girato durante i mesi più caldi – luglio e agosto – e abbiamo avuto parecchi problemi col suono. Roma é una città molto rumorosa…

Peter Greenaway

Sinossi

L’architetto americano Stourley Kracklite – famoso per aver progettato l’avveniristico mattatoio della sua città – arriva a Roma con la giovane moglie Louisa, per organizzare una mostra di architettura dedicata all’architetto visionario Étienne-Louis Boullée. Durante il viaggio i due hanno un amplesso e Luisa rimane incinta. Il soggiorno a Roma, dall’iniziale entusiasmo legato alla scoperta della città e alla preparazione della mostra, si trasforma in un doloroso incubo, anche perchè l’architetto scopre di avere una forma terminale di cancro al pancreas. Cerca di cancellare dalla sua mente il dramma che lo ha colpito immergendosi nel lavoro, ma gli unici sollievi li trova pensando al bambino che sta per nascere e la sensazione che i monumenti di Roma minimizzino l’importanza di ogni destino individuale.

Mentre l’architetto è sempre più solo e mentalmente instabile (scrive lettere a Boullée e fa scenate in pubblico), la moglie diviene l’amante di un giovane architetto italiano che riesce anche ad estromettere Kracklite dall’organizzazione per dirottare il grosso dei fondi nel restauro delle statue fasciste del Foro Italico. Louise sostituisce il marito nel discorso inaugurale della mostra, ma viene colta dalle doglie e partorisce. Nello stesso momento Kracklite si suicida gettandosi dal Vittoriano.


Genere: Drammatico
Anno: 1987
Regia: Peter Greenaway
Attori: Brian Dennehy, Chloe Webb, Lambert Wilson, Sergio Fantoni, Vanni Corbellini, Stefania Casini, Alfredo Varelli, Enrica Scrivano, Stephano Gragnani, Riccardo Ussani, Francesco Carnelutti, Geoffrey Coppleston, Rate Furlan, Andrea Prodan, Fabio Sartor, Claudio Spadaro, Julian Jenkins, Marino Masé, Marne Maitland
Paese: Gran Bretagna, Italia
Durata: 118 min
Distribuzione: FILM FOUR INTERNATIONAL, CHANNEL FOUR – ACADEMY (1988)
Sceneggiatura: Peter Greenaway
Fotografia: Sacha Vierny
Montaggio: John Wilson
Musiche: Wim Mertens, Glenn Branca
Produzione: FILM FOUR INTERNATIONAL, BRITISH SCREEN, CALLENDER COMPANY PRODUCTION, MONDIAL LTD (LONDON), TANGRAM FILM (ROMA) IN COLLABORAZIONE CON HEMDALE E SACIS.


 

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